Lo spettacolo debutta il 16 dicembre: il regista “Il male è. Non è una forma, non è uno zoppo”
Il Teatro Carignano, fiore all’occhiello dello Stabile di Torino, fa da palcoscenico da martedì 16 dicembre a “Riccardo III” di William Shakespeare, nell’adattamento di Antonio Latella, che firma anche la regia dello spettacolo, e Federico Bellini che ha curato la traduzione del testo. Dramaturg Linda Dalisi.
👉 Protagonista dello spettacolo Vinicio Marchioni che sarà in scena insieme a Silvia Ajelli, Anna Coppola, Flavio Capuzzo Dolcetta, Sebastian Luque Herrera, Luca Ingravalle, Giulia Mazzarino, Candida Nieri, Stefano Patti, Annibale Pavone, Andrea Sorrentino.
👉 Le scene sono di Annelisa Zaccheria, i costumi di Simona D’Amico, le musiche e il suono di Franco Visioli e le luci di Simone De Angelis. Regista assistente e movimenti Alessio Maria Romano. Prodotto da Teatro Stabile dell’Umbria e da LAC Lugano Arte e Cultura, lo spettacolo sarà replicato nella stagione dello Stabile di Torino fino a martedì 23 dicembre. Mercoledì 17 dicembre, alle ore 17.30 al Circolo dei Lettori, gli attori della compagnia dialogheranno con Federica Mazzocchi nell’ambito di Retroscena. Antonio Latella affronta Riccardo III scegliendo come arma la parola, che diventa seduzione pura: forza che incanta e inganna, ricordandoci che a tradire il paradiso fu l’angelo più bello. Il regista scava nell’incanto oscuro del testo, in un giardino scenico che diventa luogo di desiderio e inganno, di relazioni pericolose e poteri che si intrecciano. Riccardo, più che verso il trono, lotta contro il femminile, ed è proprio una donna a infliggergli la sconfitta definitiva, affiancata dal Custode, un personaggio inedito che veglia sull’Eden teatrale, difendendone la fragile bellezza.
👉 Scrive Antonio Latella nelle sue note di regia: «Il male è. Non è una forma, non è uno zoppo. Non è un gobbo. Il male è vita. Il male è natura. Il male è divinità. Il nostro intento è quello di provare ad andare oltre l’esteriorità del male cercando di percepirne l’incanto. È chiaro che se il male stesso viene rappresentato attraverso un segno fisico il pubblico è portato ad accettarlo, vede la “mostruosità” e la giustifica. Anzi, prova empatia se non simpatia con e per il protagonista. Ma è ancora accettabile questo “alibi di deformità” nel ventunesimo secolo? Probabilmente il Bardo ne aveva bisogno per giustificare al pubblico, in qualche modo, tutte le malefatte del protagonista”.
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Lorenzo Peterson
15th August, 2019 at 01:25 pm