Interviste

Il Magnifico Guido Saracco, il Rettore del Politecnico si racconta

L’amore per Torino, i suoi studenti al centro di tutto, l’ateneo al tempo del Covid, le sfide, i progetti, la politica, la Juve, la cucina, la corsa, i social

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Il Magnifico Guido Saracco, il Rettore del Politecnico si racconta

L’amore per Torino, i suoi studenti al centro di tutto, l’ateneo al tempo del Covid, le sfide, i progetti, la politica, la Juve, la cucina, la corsa, i social

Intervista esclusiva

di Luca Pasquaretta

TORINO - Puntualissimo, sorridente. Mancano pochi minuti alle 11:30. È venerdì. Il Magnifico Rettore del Politecnico di Torino, Guido Saracco, ha appena concluso una conferenza di ateneo in streaming, molto partecipata. Gli impegni si susseguono ad un ritmo incalzante. E’ operativo, attento ed estremamente gentile. Mancano ormai pochi giorni (24 febbraio) dall’inaugurazione dell’anno accademico. Ci apre le porte del suo ufficio al primo piano in corso Duca degli Abruzzi. Il tempo di posizionare il cavalletto e scambiare due battute (“tipo Report?”, sorriso) e poi inizia questa lunga, interessante e piacevole chiacchierata che abbiamo pensato anche di trascrivere. La tecnologia è meravigliosa, ma a volte fa qualche capriccio e per questo ce ne scusiamo con i nostri lettori e amici se l’audio non è il massimo.
 
Grazie Magnifico Rettore per aver accettato l’invito de “Il Turinista”. Perché un giovane appena diplomato dovrebbe scegliere il Politecnico di Torino? 
“Intanto perché nella prospettiva di trovare un posto di lavoro il nostro Politecnico è un luogo dove formarsi che dà grandi garanzie e soprattutto perché stiamo riformando il modo in cui prepariamo i nostri laureati per trovare un posto di lavoro in Italia, innanzitutto per contrastare quella che è una tendenza ormai da troppo tempo invalsa, ossia di preparare ottimi ingegneri ed architetti che però poi in grande quantità si trovavano a lavorare per multinazionali e lasciare il Paese, questa è un po’ la novità che abbiamo deciso di mettere in campo”
 
Questa emergenza sanitaria rischia di modificare il piano strategico 2018/2024 del Politecnico? 
“Certamente ci ha portato a riflettere ancora più in modo stringente e a porci delle domande sul futuro, ha anche portato delle criticità di gestione che ci hanno assorbito, ma non abbiamo perso l’inerzia che avevamo guadagnato nel dare comunque attuazione al piano strategico. Siamo andati avanti sull’area di sviluppo industriale, sulla riforma dei nostri percorsi formativi, abbiamo retto, grazie al lavoro dei nostri docenti, dei nostri tecnici, dei nostri amministrativi, che hanno sostanzialmente dato vita da una settimana all’altra, ad un ateneo virtuale; da un ateneo fortemente in frequenza come eravamo per la ricerca e le attività che facciamo, siamo prossimi a ritornare finalmente - grazie al piano vaccinale - a ripopolare l’ateneo, credo che questo sarà il semestre più complesso di tutta la gestione, perché un pochettino si sono perse quella pazienza, quella motivazione, quell’adrenalina che all’inizio ci avevano fatto fare questo miracolo, ma terremo duro. Questa mattina abbiamo fatto una conferenza di ateneo molto partecipata dalla nostra comunità eravamo circa 500 persone, ci siamo rifatti gli auguri per tenere duro e per dare ai nostri studenti il miglior servizio possibile e alle nostre imprese e ai nostri enti territoriali maggior supporto con la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico. E quindi sono ottimista”
 
Il 24 febbraio l’inaugurazione dell’anno accademico sarà in streaming?
“Evidentemente non può essere diversamente e sarà dedicata alla formazione. Se l’anno scorso abbiamo parlato molto del ruolo di impatto che un’università ha nella società: dal rapporto che intrattiene con i corpi della politica, con gli enti governativi, l’industria, in un insieme di azioni che stanno diventando in questo territorio sinergiche e concordi per dare impulso alla nostra economia, alla creazione di posti di lavoro, alle nostre imprese, quest’anno invece ci concentriamo sulla formazione che è un po’ la prima missione di un ateneo in generale e su come stiamo riformandola per renderla più efficace per la società in cui viviamo che sta cambiando rapidissimamente”

Ci ha colpito il titolo della Lectio che terrà la professoressa emerita Alison James (Creative Teaching for Challengin Time). Quali sono, quali potrebbero essere questi insegnamenti creativi per questi tempi difficili? 
“Guardi la nostra società si contraddistingue per una complessità che non c’è mai stata nella storia dell’uomo, in questo contesto in cui una preparazione fortemente specialistica era richiesta dall’industria, dagli enti territoriali, da chi dava lavoro ai nostri formati, non è più pagante come prima; noi dobbiamo formare dei professionisti che siano specializzati, ma devono anche dotarsi di quelle che si chiamano “soft skills”, cioè la capacità di comunicare, di lavorare in gruppo, di risolvere problemi complessi, di pianificare un progetto, che fatalmente non porteranno avanti da soli ma con altri; devono avere capacità di leadership, ma anche essere al momento giusto gregari ed esercitare quelle che si definiscono “thinking skills”, la capacità di ragionare, sviluppare il senso critico, la responsabilità sociale di quello che si progetta tecnologicamente; questa è un’innovazione ancora più importante, e per questo stiamo cercando di dotare i nostri ingegneri - come già capita per i nostri architetti - di conoscenza nella scienza nuova della società, abbiamo varato nelle triennali un progetto che si chiama “grandi sfide” che interessano l’umanità fra cui la salute, il clima, lo sviluppo inclusivo, mettiamo gruppi di lavoro di studenti a lavorare con un tecnologo e un umanista, nella risoluzione di problemi associati a queste dimensioni; poi abbiamo le “challenge”, le sfide, dove arrivano delle aziende, degli enti territoriali, a porre delle sfide di innovazione, risolte le quali potrebbero ricavare un vantaggio per le aziende medesime e per la società in generale, ma anche gruppi di lavoro interdisciplinari, di studenti, affiancati da un designer, da un economista gestionale, un meccanico, vanno ad inventare qualcosa di nuovo, l’ingegnere è colui che inventa, crea, le tecnologie non esistono prima e le creano i technology; di nuovo questa dimensione di collaborazione interdisciplinare vuol dire anticipare un po’ quello che fatalmente faranno all’interno delle aziende in cui lavoreranno, le pmi hanno bisogno di questo tipo di impulso, dopo abbiamo percorsi più intraprendenti che esercitano questa creatività e queste soft skills, e poi l’alta scuola politecnica, dove stiamo sperimentando quest’anno in collaborazione con il politecnico di Milano, per gli studenti selezionati a parteciparvi, una formazione ritagliata sulle caratteristiche dei singoli, da sempre eroghiamo una formazione standard, in cui noi progressivamente aggiungiamo delle competenze, facciamo esami, seguendo la stessa classe, una delle sfide per il futuro è far sì che ciascuno riceva la formazione che valorizza meglio le sue caratteristiche e le sue attitudini”.
 
Una delle grandi sfide potrebbe anche essere quella di creare più spazio per i giovani. Questo però non è un Paese per giovani, perché? 
“Guardi, parto dal contesto di Torino, che sta invecchiando, nonostante le università torinesi portino molti studenti da fuori, è chiaro che se riuscissimo a radicarli qui, facendoli lavorare e creare famiglie - parlo e scherzo molto con i miei studenti indiani che sono notoriamente prolifici, provo trattenervi qui e fate le famiglie, gli dico - il vero nodo è riuscire a radicare sul territorio opportunità di lavoro qualificate, riuscire a far atterrare a Torino e in Piemonte grazie alle competenze che possono mettere in campo Politecnico ed Università insieme, imprese che diano posti di lavoro qualificati. Solo a quel punto riusciamo a risolvere il problema. Quello che capitava è che noi costruivamo degli eccellenti ingegneri che però completavano le loro formazioni nelle multinazionali e finivano di lavorare all’estero e non tornare più nel breve termine, e proprio nel momento in cui un neolaureato trova un lavoro e mette su una famiglia crea una continuità, contrastando così l’invecchiamento che ci caratterizza”
 
Gli studenti universitari a Torino sono tanti, all’incirca 100 mila, portano reddito e vantaggi economici non indifferenti. Questa emergenza sanitaria però ha svuotato ulteriormente la città? 
“E’ un periodo storico contenuto, ovviamente dobbiamo fare molta attenzione a questioni di tipo sanitario nell’ambito di regole che impediscono di popolare le aule come potevamo fare prima, però abbiamo aderito ad un appello del ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica di cercare di far tornare in presenza quante più persone possibili, specialmente le matricole per loro seguire le lezioni in aula ha un’importanza fondamentale, dopo di che teniamo duro e fra un anno penso che rivivremo quella che era la Torino che da un po’ si è smarrita”.    
 
Una città per essere sostenibile deve essere vivibile?
“La qualità della vita è un elemento di sostenibilità. Lei sa che oggi la sostenibilità si parametra su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, non è più semplicemente una parametrizzazione di tipo climatica piuttosto che di efficienza energetica, riguarda l’intero insieme di fattori che regolano la vita dell’uomo sulla terra, tra cui certamente la qualità della vita che deve essere associata ad una sostenibilità di un modello che deve evolvere”
 
Appunto, qual è il rapporto tra la tecnologia e la sostenibilità ambientale, le piace di più la bicicletta o il monopattino, l’ha provato?
“Non ho provato il monopattino, Corro, corro tanto. Ma questo è un dettaglio che mi appassiona, perché mi porta a consumare le energie che prendo con il cibo in eccesso (risata, ndr). Ma mi porta anche a riflettere, vado in trance, è bene che non capiti in bicicletta, perché sarebbe molto pericoloso (altra risata, ndr). Guardi però il cambiamento verso il sistema di mobilità sostenibile non può avvenire con la bacchetta magica, facendo una mossa come quella dei monopattini, ma deve avvenire con una progressiva ristrutturazione di un intero sistema e questo è complesso e merita uno studio di dettaglio, bisogna cercare di fare un progetto molto razionale, sicuramente possiamo dare una mano come Politecnico, abbiamo gli esperti giusti sia per sviluppare le tecnologie ma anche progettare questo tipo di transizione”
 
Innovazione, aerospazio, Parco della Salute, turismo ed enogastronomia potrebbero essere gli asset principali per dare a Torino un nuovo impulso verso uno sviluppo sostenibile, inclusivo e attento alla qualità della vita? 
“Sicuramente, è quello che stiamo facendo. C’è una grande alleanza, possiamo definirla il coraggio della concordia tra noi e l’Università di Torino, questo è un vantaggio enorme, siamo complementari come competenze, ciascuno ha i propri ambiti di particolar forza, penso all’Università di Torino e al Parco della Salute, 4 dipartimenti di medicina, un ambito dove anche la biochimica è di eccellenza internazionale, dove noi possiamo dare una mano con i nostri ingegneri biomedici. Pensi che bello sarà un Parco della Salute dove si trova un dipartimento di medicina con un dipartimento di ingegneria biomedica, dove medici ed ingegneri progettano sistemi per operare, nuovi farmaci, nuove tecnologie per la salute, con gli studenti che frequentano gli stessi corsi, fanno scambi con le imprese che si trovano pazienti, esperti, studenti che magari poi arruoleranno. E poi il concetto delle comunità di conoscenza e di innovazione che stiamo sviluppando al Parco della Salute con una prospettiva un po’ più lontana, ma immediatamente a Mirafiori sulla manifattura 4.0 e l’autoveicolo, in corso Marche con l’aerospazio, intorno all’Environment Park l’economia circolare e l’energia del futuro, area che ha un suo corrispettivo con l’Università di Torino che sta promuovendo a Grugliasco con il nuovo campus che si chiama Città della Scienza, dove si parlerà di agraria, chimica verde, biochimica e biotecnologia, etc, a fare una sorta di partenariato scientifico. Il turismo, il commercio sono dimensioni un po’ meno vicine alle competenze del Politecnico, che potrà comunque dare una mano sul fronte delle tecnologie”.
 
Torino magari non sarà più città della Fiat, dell’automobile, ma sarà sempre di più la città del Politecnico. Mi ha colpito molto un progetto dell’Ordine degli Architetti, Bottom Up, dove rilanciano il partnenariato pubblico/privato. Potrebbe essere quella una strada per riqualificare zone dismesse o in difficoltà? 
“Invece Torino sarà sempre la città dell’autoveicolo, della mobilità, anche grazie a quello che fa il Politecnico, non dobbiamo demordere, sono convinto che il rapporto con Stellantis riuscirà a rilanciare il partnerariato che funziona in maniera brillante con FCA.
Quello che diceva prima sono importanti in questo periodo, in fondo quelle aree di sviluppo sono punti di convergenza dell’Università con le associazioni datoriali, e con grandi player industriali, c’è bisogno di unire le energie, si parla in inglese di “coopetition” che è un misto fra collaborazione e competizione, la coopetizione è quello che serve adesso, fare massa critica perché sempre di più si compete a livello di ecosistemi in cui si è alleati, dovendo per forza di cosa competere a livello globale”.
 
L’intelligenza artificiale salverà il mondo o ci complicherà la vita?
“Nasce per fare meglio le cose e in maniera più efficiente e di fatto sta sconvolgendo il modo in cui si controllano i processi industriali, si pianificano i progetti di erogazione dei servizi, è un plus notevole, è una cosa positiva che a Torino si realizzerà con la testa pensante, il Centro di Intelligenza Artificiale italiana, è una grande sfida, in cui gli atenei torinesi daranno il loro contributo, non dimentichiamo che è un centro di ricerca italiano. Per quello che riguarda l’autoveicolo, nel decreto rilancio, dal Mise abbiamo avuto un finanziamento per diventare un punto di riferimento italiano”.
 
Ha ascoltato i discorsi alle Camere di Draghi, è l’uomo giusto per rilanciare l’Italia?
“Non entro nei dettagli, ne ho stima, in questo momento, anche in politica penso ci sia bisogno del coraggio della concordia, e che io ho grande rispetto della politica e della competenza, penso che anche le scelte dei politici siano sagge, è un momento in cui tutti insieme possiamo avere un progetto di buon senso; sono ottimista sul fatto che si riesca a conseguire uno sviluppo inclusivo: non è né di destra, né di sinistra, è la cosa che serve adesso per tenere insieme la società e portarla ad un progresso che migliori la qualità della vita. Le ricette classiche non funzionerebbero”
 
La destra e la sinistra esistono ancora? Si può parlare ancora di queste classificazioni?
“In questo momento siamo in una situazione tale di crisi, un modello da seguire contemporaneamente garantisce inclusività e sviluppo, un modello complesso, che solo con la concordia, estendendolo alle migliori risorse che ha il Paese, credo ci siano le condizioni. Conosco molti ministri. Il professor Cigolani è stato il mio capo quando ero in IT, il professor Giovannini fondamentale per lo sviluppo sostenibile, ha partecipato alla scorsa inaugurazione dell’anno accademico, conosco il dottor Franco, quando era Ragionerie generale dello Stato mi aveva ricevuto per discutere del bilancio delle università italiane, è stato molto piacevole, abbiamo le condizioni giuste e sfruttare al meglio la grande opportunità dei fondi Europei Next Generation Eu, che daranno impulso a questa progettualità”
 
Corre tanto ci ha detto. Gioca anche a tennis? E’ contento delle Atp Finals che arriveranno in città in autunno o avrebbe preferito le Olimpiadi Invernali?
“Le ATP sono una mia passione vera e propria; andavo spesso a Londra e sono un grande fan di Federer, è un mito di grande eleganza; sono contento che le ATP saranno a Torino; chiaramente le olimpiadi erano importanti ma adesso abbiamo le Universiadi nel 2025 a cui abbiamo aderito anche per la possibilità di avere progetti, ora per allora, case per atleti che poi diventino collegi universitari per studenti meno abbienti: ad oggi disponiamo di 2.000 posti lesto a fronte di 8000 aventi diritto”
 
Quale è il rapporto del Magnifico Rettore con i social?
 “Inesistente perché non mi appassiona; non ho mai aperto profili personali sui social anche perché, con il mio mestiere, faccio già parte di una comunità di circa 40.000 persone - di cui 4.500 dipendenti universitari e circa 36.000 studenti – e abbiamo le nostre piattaforme di comunicazioni interne; sono un ingegnere nerd (risata,ndr)”
 
Come se la cava in cucina?
“Me la cavo, ma non ho una passione particolare anche se sono un ingegnere chimico e la cucina - in un certo senso, nel mescolare ingredienti - si può ritenere assimilabile.”
 
Una sua giornata tipo?
“In questo particolare momento storico è tutto più complesso: la creazione di una “università virtuale” non è stata esente da problemi; dormo poco ma resisto; responsabilmente faccio quello che devo e posso per la mia comunità; il rettore in questa fase è una colonna che non può cedere nonostante lo straordinario lavoro di tutti i collaboratori; speriamo di tornare presto ad una dimensione più “umana”.”
 
Il luogo di Torino che ama di più?
“(Sospiro, ndr) Abito nel centro di Torino e ne sono innamorato; quando esco di casa è bello parlare con tutti; ieri ero ospite sul grattacielo della Reale Mutua in piazza Castello; sono rimasto a bocca aperta dalla vista di questa citta bellissima: l’infilata del Guarini, la chiesa di San Lorenzo, la cappella del duomo, da lì il panorama è mozzafiato ancora di più di quello della Mole; Torino ha mille angoli imperdibili; in questo momento adoro il lungo Po andando verso San Mauro, dove vado a correre per due ore tra andare e tornare la domenica e mi sta segnando positivamente la vita”.
 
Tifa Juve o toro?
 “Juve; ma da piccolo tifavo inter, mi piaceva Sandro Mazzola, poi mi è capitata una bronchite dopo l’altra (inizi anni 70); mi hanno tolto le tonsille e ricordo che chi arrivava a curarmi con i raggi x a casa mi metteva Hurrà Juventus sul comodino, erano i tempi di Bettega, Anastasi, mi hanno trasmesso la passione per la Juve.”
 
Crede in Dio?
“Quando mi fanno questa domanda risponde sempre che la mia morale si sovrappone a quella cattolica; non ho questa forte fede cattolica anche se mia madre va in chiesa tutte le domeniche; ho seguito alcuni percorsi (cresima, battesimi) e ho approfondito la lettura della bibbia che trovo essere un grande testo; sono forte del fatto che la mia morale coincide per molti aspetti con quella cattolica.”

Comments :
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    Lorenzo Peterson
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    Tammy Camacho
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    Tammy Camacho
    16th August, 2019 at 03:44 pm
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      Lorenzo Peterson
      17th August, 2019 at 01:25 pm
      Reply

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